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Tutti giù per terra!

E vabbè, in fondo non poteva essere una sorpresa.

La rivista Times Higher Education, una pubblicazione nata dal quotidiano The Times, ha pubblicato la classifica delle prime duecento università mondiali (http://www.timeshighereducation.co.uk/world-university-rankings/2010-2011/top-200.html).

A questo punto, potrei finire qui di scrivere perché il resto è scontato.

Tutt’altro

 che sciovinisti, gl’inglesi hanno retrocesso da classifiche stilate da altri Cambridge ed Oxford a pari merito al sesto posto, mettendole alle spalle di cinque scuole statunitensi, dove Harvard sopravanza di un’incollatura il California Institute of Technology.

Scorrendo la lista, bisogna arrivare al 14° posto per trovare un’università che non sia anglo-americana, e questa è l’ETH di Zurigo. Al 21° posto si piazza l’Università di Hong Kong, al 28° ci sta la Corea, al 34° Singapore, al 37° la Cina. Poi, giù alla 112° piazza c’è la Bilkent di Ankara, e c’è il Belgio, l’Olanda (piccina com’è, ne ha 10 in classifica), l’Egitto, la Danimarca, la Spagna, la Norvegia…

E noi? Le nostre 78 università?

Beh, la classifica tiene conto di ricerca, di qualità dell’insegnamento, degli stimoli creati dall’ambiente accademico e anche di quanto guadagnano docenti e ricercatori. A questo punto, che cosa pretendete? Ovvio che noi non esistiamo in classifica!

Da noi, quella che viene spacciata per ricerca è nella quasi totalità dei casi la riproduzione di qualcosa di già fatto altrove o, comunque, di qualcosa che costi poco in termini di quattrini e d’impegno. Quasi sempre, gl’italici cosiddetti “centri di ricerca” altro non sono se non carrozzoni, carrozzelle o carrozzine in cui sistemare qualche “luminare” che, a sua volta, sistemerà qualche figlio, quando non qualcosa d’altro. E, nella quasi totalità dei casi, l’unico scopo di quei centri è sopravvivere, questo certo non facendo ricerca, se non altro perché non ci sono i soldi nemmeno per pagare le bollette del gas, ma semplicemente pagando stipendi da dieta ferrea. Così, quando sentiamo i nostri mezzi di cosiddetta informazione strombazzare di scoperte epocali uscite da qualche nostra università, meglio cambiare canale sperando di trovarci la Ferilli sul sofà.

Venendo alla qualità dell’insegnamento, chi ha avuto la ventura di assistere a qualche confronto che mi è capitato di sostenere con qualche professore di università o politecnici sa perfettamente che, come vuole l’immagine popolare, il sangue da una rapa non si può cavare. Basterebbe, poi, leggersi le esternazioni “scientifiche” di certi docenti a proposito delle nanopatologie per mettere la giusta cornice al quadretto. Che razza di prodotti potranno uscire da maestri di quella fatta è cosa su cui non sprecare una riga.

Stimoli ambientali? Beh, gli studenti che vedono le apparecchiature su cui si posa leggera la polvere della desuetudine potrebbero essere stimolati a prendere un piumino e a darsi da fare. E non parlo solo dell’ormai mitica Università di Urbino (prestigiosissima secondo qualche bello spirito) e di quello che fu il nostro microscopio: percorrendo i laboratori è sempre più comune imbattersi in strumenti morti da tempo immemorabile un po’ perché non c’è un soldo per la manutenzione e un po’ perché nessuno li saprebbe comunque usare. Il resto dell’ambiente accademico è su questa lunghezza d’onda. Volendo, poi, osservare l’ambiente dal punto di vista morale, chi ha qualche esperienza di accademia e, magari, di concorsi, sa che l’argomento si farebbe osceno.

E gli stipendi? Cari ragazzi che avete in mente la carriera universitaria e la romanticheria della ricerca, allenatevi piuttosto per partecipare ad un reality show e, se sarete sufficientemente cretini, farete un sacco di soldi come ospiti di discoteche o di trasmissioni TV ormai sempre più indistinguibili da una discarica. L’unica possibilità, se proprio v’intestardite sull’accademia, è quella di fare ciò che fanno alcuni professori di casa nostra: raccontare le balle di regime sostenendole eroicamente con sprezzo del ridicolo. Se avrete stomaco, se sarete pronti a rinunciare ad ogni parvenza di dignità, troverete di certo qualche multiutility, qualche imprenditore che indebita noi e, nell’ambito dello stesso fenomeno, arricchisce il suo conto in banca così pareggiando i conti, qualche politico “con le mani in pasta”che vi daranno pane e companatico.